Intervista a un Nomade Digitale del 3° tipo

Circa un anno fa mi contatta uno scrittore americano che in vista della realizzazione di un libro intitolato più o meno “Riposa! Lavorare meno fa produrre di più” (traduzione mia) mi chiede se sono disponibile per un’intervista sul mio stile di vita nomade digitale e su come i nomadi digitali organizzano il loro lavoro in mobilità.

Gli spiego che forse non sono la persona giusta: ho io stesso le mie difficoltà a organizzarmi! Aggiungo però che ho anche un atteggiamento piuttosto umile (“se posso farlo io lo puoi fare anche tu“) e che se riesco a cavarmela è anche perché aderisco ad uno stile di vita minimalista (in altre parole ho un “basso costo di mantenimento”).

Gli dico infine che lo stile di vita nomade digitale è uno stile di vita che cambia il mondo, la cultura, l’economia.

Il mio interlocutore sembra interessato…

L’intervista

Pubblico solo oggi questa intervista, ma più che tradurre le risposte date all’epoca, provo invece a riscriverle come se rispondessi adesso alle domande: ogni riferimento temporale (compresi i miei spostamenti) è quindi da ritenersi aggiornato.

1) Sono molto interessato a capire come i nomadi digitali organizzano il loro tempo.

Quante ore lavori al giorno?

Non ne ho proprio idea: dipende dai progetti in corso, dalle priorità, da quello su cui mi focalizzo in determinati periodi della mia vita. A volte mi posso considerare in workation*, altre volte ho bisogno di recuperare. Ambisco a non lavorare più di quello di cui ho bisogno e a concentrarmi piuttosto su progetti personali (ma questi spesso non sono percepiti come lavoro).

*neologismo inglese che deriva dall’unione di work (lavoro) e vacation (vacanza); molto di moda nel panorama inglese dei digital nomads.

Fai attività fisica? Ti aiuta a lavorare meglio?

Il nostro corpo non è stato progettato per stare ore e ore di fronte al computer. Lavorare trascurando la propria salute non è sostenibile.
Finora sono riuscito a fare attività fisica (quasi) regolare andando in palestra oppure in parchi pubblici attrezzati* dove è possibile praticare ad esempio un po’ di calisthenics.

*si incontrano dappertutto tranne che in Italia!

Ti capita mai di trovare la soluzione ad un problema di lavoro mentre stai facendo attività fisica o altro?

E’ un processo che mi è decisamente familiare.

2) In secondo luogo sono interessato a come i nomadi digitali organizzano la loro attenzione e concentrazione.

Vivere in un luogo esotico e interessante… non è forse una fonte di distrazione maggiore rispetto a stare in ufficio? Oppure la nuova location ti dà un incentivo per concentrarti?

Quando arrivi in un posto nuovo non fai mai la cosa giusta:

  • Se lavori… non ti stai godendo la tua nuova location!
  • Se esplori la nuova location… senti che dovresti lavorare invece di divertirti!

Alla fine è solo una questione di equilibrio, che è sempre una cosa difficile da raggiungere.
Ma questo – se posso permettermi l’audacia – è la vita!

Alcuni dicono che lavorano meglio come nomadi digitali perché l’ufficio tradizionale è noioso. Si sentono più produttivi in un ambiente nuovo e interessante piuttosto che in uno familiare. Sei d’accordo?

Vorrei rispondere così: non è dove vai, ma chi incontri!
Quando ho iniziato a esplorare lo stile di vita nomade digitale 2 anni fa a Chiang Mai mi è piaciuto molto interagire con gli altri nomadi digitali che vivevano lì: tutti pronti a condividere le proprie esperienze e a connettersi l’un l’altro. Mi piace pensare che ho ricevuto più stimoli (per il mio lavoro) in quei 2 mesi a Chiang Mai che in anni passati in ufficio in Italia e a Sydney.

Naturalmente per lavorare bene hai bisogno di una scrivania, di una sedia, di un ambiente tranquillo (e ovviamente di una buona connessione internet). Se ci sono altre persone con cui connettersi… alla grande!

D’altra parte anche lavorare in ufficio potrebbe essere difficile per la concentrazione… chi parla al telefono, chi ti disturba per qualche motivo… quindi forse è meglio una bella spiaggia esotica… ma deserta e con un po’ d’ombra!

Naturalmente un ambiente familiare (sempre lo stesso ufficio) ti dà anche un senso di sicurezza, condizione necessaria per la produttività. Ma è solo questione di uscire dalla zona di comfort, che è sempre una cosa buona dopo tutto!

3) In terzo luogo sono curioso riguardo l’aspetto minimalista del nomadismo digitale.

Questo stile di vita cambia la percezione del valore degli oggetti materiali?

Mi piace molto l’idea della filosofia minimalista che gli oggetti non possano renderti più felice e che faremmo meglio a investire i nostri soldi in esperienze piuttosto che in oggetti.
Il fatto poi che potrai portarti dietro solo una quantità limitata di cose (quello che sta nei tuoi bagagli) potrebbe farti sviluppare una sorta di repulsione all’acquisto di oggetti materiali. Meglio spendere i nostri soldi in buon cibo, cene fuori e attività che ci interessano (escursioni, corsi di yoga, chi kung, o che so io… surf).

E’ una vita più semplice di una vita tradizionale? Da una parte non capisco come spostarsi ogni mese non sia in qualche modo stressante. Ma avere meno oggetti ed essere lontani da amici e parenti potrebbe incoraggiare la concentrazione. Qual’è la tua esperienza?

Viaggio molto lentamente in realtà. Ecco le mie tappe da quando ho lasciato l’Australia 2 anni fa e iniziato l’esplorazione della vita nomade digitale:

  • Chiang Mai: 2 mesi;
  • Koh Phanghan: 1 mese;
  • di nuovo in Italia: quasi 6 mesi;
  • Fuerteventura: 5 mesi;
  • Las Palmas de Gran Canaria: quasi 10 mesi! (non era in programma starci così tanto)
  • di nuovo Thailandia (Chiang Mai, Pai, Sud della Thailandia);
  • di nuovo Las Palmas de Gran Canaria (era diventata un po’ “la base”)
  • e adesso: El Hierro!

E questo è il piano:

  • non c’è nessun piano!!!

Riguardo al possesso di oggetti materiali vorrei dare questo esempio: non ho una macchina e ne ho bisogno di rado (quindi in caso la noleggio). Non avere una macchina libera la tua mente e il tuo tempo. E’ una fonte di stress in meno.

D’altra parte quanto minimalista è una vita dove gli altri cucinano o fanno le pulizie per te?*

*Presumo che il mio interlocutore abbia l’immagine forse un po’ americana, un po’ stereotipata del nomade digitale che affitta una villa a Bali e assume personale di servizio. Personalmente non conosco nomadi digitali di questo tipo.

Quello che prendo dalla filosofia minimalista è che la tua felicità non si trova mai nel possesso di oggetti materiali ma nel fare esperienze e nella possibilità di passare più tempo possibile con te stesso e con le persone che ami.

Ma siamo tutti interconnessi! Diciamo per esempio che posso decidere se spendere un certo ammontare di soldi in una nuova camicia firmata o in una bella cena fuori (possibilmente con una persona cara, un amico, un collega o anche un cliente).
Come deciderò di spendere i miei soldi sarà come contribuirò a dare forma all’economia:

  • se compro la camicia darò i miei soldi al produttore della camicia (che molto probabilmente non avrà molto bisogno dei miei soldi)…
  • se spendo i miei soldi nella cena darò i miei soldi all’economia locale (che io mi trovi in Thailandia, a Bali, alle Canarie… o in Italia) e possibilmente a persone che amano quello che fanno (poiché hanno aperto un ristorante).

Quante più persone sposteranno le proprie spese dall’acquisto di oggetti materiali all’acquisto di “esperienze” (dal cenare fuori ad attività sportive, culturali e ricreative fruibili nel territorio) tanto più l’economia cambierà (ad esempio: meno industria manufatturiera ma più attività locali, più ristoranti, insegnanti di yoga, surf… sarà un mondo più “divertente”).

Ma naturalmente credo che ognuno debba essere indipendente quando ce ne è bisogno: in Thailandia andare a mangiare fuori è quasi sempre la norma… ma a Las Palmas preparavo la maggior parte dei miei pasti a casa.

4) Infine vorrei capire come clienti e investitori percepiscono i nomadi digitali.

Il tuo essere nomade digitale è un segno che sei poco serio o è la prova che sei una persona che si dedica con passione a quello che fa?

Così come altri lavoratori del web, potrei essere piuttosto atipico come professionista: non sono molto interessato alle apparenze e alle formalità. D’altra parte ritengo di essere una persona brillante e dotata di una preziosa passione per quello che fa (a volte, dipende dai compiti).

Sento inoltre molto forte la responsabilità della mia scelta di vita (che naturalmente deve essere sostenibile) e per le persone che si affidano al mio lavoro.

E credo che chi ha scelto questo stile di vita abbia dato prova di una certa dose di coraggio e possibilmente di altre interessanti qualità. Quindi oserei dire (nessuno si senta offeso):

per il lavoro che hai in mente…
assumeresti un cane addomesticato o un lupo selvaggio?

Il cane addomesticato farà il suo lavoro. Ma il lupo (anche se potrebbe essere una faticaccia avere a che fare con lui) potrebbe farti un lavoro più brillante, metterci un’inaspettata passione, portarti ad esplorare strade diverse (strade possibilmente più interessanti e remunerative).

La tua esperienza di vita ha cambiato le tue idee su come percepisci il successo?

Una volta raggiunta l’indipendenza come libero professionista mi sono chiesto più volte come crescere:

  • aprire un’agenzia, lavorare con altre persone, guadagnare più soldi?
  • promuovermi per diventare un guru nel mio settore, diventare “famoso”?
  • sviluppare un qualche progetto per ottenere delle rendite passive, lavorare a qualcosa che mi appassiona?

Quello che penso da un po’ suona più o meno così:

il successo è la misura di quanto ci sentiamo soddisfatti della nostra vita, felici di quello che siamo riusciti a raggiungere e “sbocciati” come esseri umani*.

*In inglese suona un po’ meglio: “blossomed as human being”.

Se pensiamo di poter arrivare a questo lavorando… lavoriamo!

Se pensiamo di poter arrivare a questo viaggiando e facendo nuove esperienze… viaggiamo e facciamo nuove esperienze!

Se pensiamo che questo arrivi dal meditare, dal praticare yoga o un’altra attività… facciamolo!

Esiste forse un’idea dominante – mainstream – di come deve essere fatto il successo…
Ma magari quest’idea potrebbe non essere quella giusta per noi.

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