La nebbia agl’irti colli piovigginando sale

Se la parola “Canarie” risveglia in te immagini di paesaggi scarni ed essenziali, il cui picco di vegetazione è rappresentato da un cespuglio di cardon, El Hierro ti sembrerà un luogo marziano, uno di quelli fatti calare dal Buon Dio sulla superficie della Terra per fare tabula rasa dei luoghi comuni.
Abbandonata la costa frastagliata del Golfo, man mano che ci si inoltra nell’interno in direzione Malpaso, la vetta più alta dell’isola (1500 metri), il paesaggio cambia tinta e consistenza. Non più roccia, non più rosso che sfuma nel nero e azzurro che si scioglie nel blu, ma prati, muschio, boschi, un verde a tratti quasi fosforescente. Nebbia.
Nebbia? Alle Canarie?!
Ritrovarsi improvvisamente avvolti dalla foschia, con il mare che è ancora lì a portata di occhio dietro i rami dei pini canari, è talmente inaspettato che quasi dimentico che l’umidità novembrina e il cielo color cenere sono tra i motivi più forti che mi hanno spinto due anni fa a salpare le vele dalla mia Romagna.
Mentre ci inoltriamo nel fitto del Sendero Hoya del Pino, uno dei tanti percorsi naturalistici che tagliano questa piccola isola sospesa tra le braccia dell’Oceano Atlantico, mi incanto a osservare i riflessi del sole che si impiglia nella lanugine dei rami (perché qui, sappiatelo, ci sono gli alberi lanosi), il muschio che si arrampica a strati sui tronchi, le contorsioni dei rami che cercano il cielo e poi di nuovo tendono al suolo, e assorbo più che posso quest’odore di terra, di bagnato, di infanzia, che prima pugnala allo stomaco con un attacco di nostalgia di quelli che fanno salire il magone, e poi si addolcisce in ricordo, lasciando nell’aria la sensazione che questa vita è un delicato e imperscrutabile equilibrio tra procedere in avanti e tornare a casa.