La vita è un Carnevale e un sorriso vi seppellirà (o ci salverà)

Alla parata c’erano tutti (cit.). Ma proprio tutti! Talmente “tutti” che non sembrava di essere in un paesino di soli 4.000 abitanti (fonte Wikipedia) in un’isoletta di soli 10.000 residenti (fonte Wikipedia) di cui metà scappati a cercar lavoro nelle altre isole (fonte… il bar del paese).
Alla parata c’erano tutti, di tutte le età, dall’abuelo* al niño, dallo scapolo all’ammogliato, dal locale all’emigrato-venezuelano-tornato-alle-origini, dall’expat tedesco al mio connazionale.
Tutti ad esprimere la propria personale declinazione di fiesta!
E almeno nella mia testa non c’era in questa fiesta neanche la più remota possibilità che qualcuno si potesse sentire escluso, isolato, fuori luogo: outsider, antisociali, anticonformisti, musoni di vario orientamento… categorie semplicemente obsolete, come – che so io – i guelfi e i ghibellini, oppure – meglio ancora – i fascisti e i comunisti**.
E sarà che il mio sguardo di migrante mi rende attento a quello che c’è di bello nel pueblo*** che mi ospita, ma mi par proprio che ci sia qualcosa da imparare da queste genti di quest’isoletta Canaria.
Anzi: dai Canari tutti!
Forse… da tutti gli spagnoli e forse chissà da tutti i latino-americani (che se è vero che si pensa come si parla allora a pensare in spagnolo ci si guadagnerà certo in calore e voglia di vivere!).
Forse soltanto che la vida es un carnaval e che i dolori se ne vanno via cantando****.
E che anche se questo fosse il tempo di una qualche crisi finanziaria, varrà sempre la pena di scendere in piazza a celebrare la vita con tutta la forza e lo spirito che ci mette tutta una comunità: quella in cui si vive, quella che ci ospita, quella che ci sostiene.
E infatti tra i carri addobbati di ore di lavoro, passione e cartapesta e le maschere che sfoggiano la creatività e la spontaneità di chi le indossa (o le incarna!) o tra i tamburi della banda di ragazzini e l’esuberanza del pullman delle drag queen… l’attenzione si confonde, colta continuamente di sorpresa, costretta a rimbalzare da uno stimolo all’altro… i pensieri si dissolvono, le preoccupazioni si rivelano per quello che sono in tutta la loro inutile inconsistenza.
E dalle profondità del proprio essere-nel-qui-e-ora sorge l’unica cosa che può sorgere, l’unica cosa che possa avere forse un senso un po’ meno impermanente delle continue sbucciature della quotidianità, l’unica cosa che, senza farcelo pesare, ci avvicina al divino: un sorriso.
Un sorriso come quello di quella mamma che passa con il passeggino o come quello di quel padre di famiglia che ha perso il lavoro o della giovane a cui è stato spezzato il cuore. Oppure come quello del nonno la cui salute ha visto giorni migliori o come quello del nipote che dovrà partire per studiare in un’altra isola o forse chissà nella peninsula*****.
E a me viene da pensare allora a quell’Italia da cui son scappato che è fatta anche di continui lamenti, di continui rimuginare sulle cose negative e su quelle che non vanno e che non andranno mai.
E mi viene da pensare a queste mie Canarie che con un tasso di disoccupazione 3 volte superiore a quello dell’Italia****** mi insegnano comunque la cosa più preziosa: che la vita la si affronti come la affronterebbe un sorriso.
E che un sorriso (spagnolo) vi seppellirà*******.
O ci salverà!
Note:
* “nonno” in spagnolo.
** Provocazione. Forse.
*** in spagnolo sia “popolo” che “paese”.
**** dal testo della canzone “y las penas se van cantando“.
***** come cordialmente viene chiamata la Spagna dalle Canarie.
****** fonti: www.passaportofuturo.com e www.istat.it.
******* la frase “Una risata vi seppellirà” è originariamente dell’anarchico russo Michail Bakunin (1814 – 1876) ripresa poi dai movimenti del ’68 o del ’77.